\\ Home Page : Articolo : Stampa
I dream a drum
Di SuperCirio addì 07/12/2007 @ 22:39:29, in music, linkato 1077 volte)
Mai amore fu più platonico di quello che nutro per la batteria (quella che si suona, non le Duracell).
Sono un virtuoso amante delle percussioni, ma non le suono. O almeno non più.
C'è stato infatti un periodo della mia prima adolescenza in cui mi sono accostato al formidabile strumento, seppur con risultati discutibili.
Erano anni fiammeggianti d'entusiasmo giovanile e sembrava normale per noi incredibili creature dell'hinterland milanese, compagni di crescita e scorribande, mettere in piedi un gruppo rock con cui spaccare il culo allo star system.
Nacque così The No Smoking Band, una delle formazioni più sottovalutate di tutta la storia del rock.

Suonavamo con chitarre economiche, antichi amplificatori dall'aria esausta, e un Crumar valvolare da 400 Kg. Io sedevo eroico dietro una batteria di risulta recuperata con destrezza. Era un vecchio set ad impostazione jazz di cui neanche ricordo la marca (ammesso ne avesse una) con corpi in legno, pelli sintetiche e piatti di ottone ossidato pesanti come corazze anticarro.
Su una pelle di ricambio c'era l'autografo di Tullio de Piscopo, con dedica al vecchio proprietario; non l'ho mai montata per evitare di rovinare la prestigiosa sigla. Finì perduta, assieme a tutto il resto del set, nell'oblio degli anni che vennero.

Il nostro repertorio si basava su cover di classic rock: Rolling Stones, Bruce Springsteen, Pink Floyd, qualcosa di Bob Dylan... un prestigioso campionario di brani da Monster of Rock che straziavamo senza pietà poichè -a questo punto occorre dirlo- suonavamo come cani focomelici. Questo però non ci fu mai di sconforto, al contrario eravamo convinti che servisse a caratterizzare il nostro stile rendendolo inconfondibile.
L'abilità con gli strumenti era comuqnue un dettaglio poichè prima o poi avremmo sfondato lo stesso, ne eravamo certi. Bastava avere un po' di costanza e un minimo di fortuna, e il successo ci avrebbe travolto garantendoci guadagni da re ed eserciti di fighette fino alla fine dei nostri giorni da rockstar.

Ci furono un paio di occasioni in cui la strada verso il successo si proiettò con luminosa certezza sul nostro futuro.
La prima fu un invito ad un raduno di giovani gruppi musicali da parte di un'associazione benefica (lo status giuridico di ONLUS ancora non esisteva) che raccoglieva fondi per iniziative umanitarie.
Ricordo ancora le positive vibrations che ci diede l'incontro con quello che fu, a tutti gli effetti, l'unico impresario della nostra breve parabola artistica.
Ovviamente suonammo malissimo, ma ci fu gioco facile nell'addossare la colpa alla presunta imperizia dell'addetto al mixer. E comunque la qualità della nostra musica era cosa secondaria rispetto al fatto che ormai, dopo quel debutto, eravamo ufficialmente lanciati a folle velocità verso il successo.
Avevamo avuto un ingaggio (seppur gratuito), avevamo suonato 'live' e un pubblico ci aveva applaudito (per inerzia, ma son dettagli).
Quante, tra le migliaia di giovani band emergenti, potevano vantare un simile background?
L'avvenire si prospettava costellato di successi.

La successiva spinta verso l'olimpo della celebrità ce la offrì la società polisportiva del nostro borgo natio. Durante la festa sociale che si teneva annualmente all'oratorio parrocchiale, uno dei volontari organizzatori ci ingaggiò per intrattenere gli avventori del tendone ristorante. Il fatto che avremmo suonato alle due del pomeriggio per una platea di pochi avvinazzati non riuscì a smorzare il nostro entusiasmo, e dedicammo un'intera mattinata alle prove ed alla stesura della scaletta.
Come prevedibile, anche in questa occasione suonammo in modo agghiacciante, con l'aggravante di esserci dovuti appoggiare esclusivamente sui nostri scarsi mezzi tecnici (che non comprendevano, tra l'altro, un mixer).

Attaccammo con "In The Flash-part 1" dei Pink Foyd, uno dei nostri cavalli di battaglia. Ancora adesso ricordo con un certo imbarazzo l'espressione di sgomento sul viso dei pochi anziani presenti, quando gli amplificatori cominciarono a vomitare una sequenza di suoni distorti e a volume pazzesco. Per questioni di carenze tecniche la batteria non venne amplificata, pertanto fui costretto a martellarci come un pazzo nel tentativo di sovrastare il delirio sonoro prodotto dagli altri componenti. I poveri vecchietti si aspettavano un liscio alla Casadei, o un walzerino tranquillo, o qualsiasi cosa potesse andar bene per trascinare i piedi sulla pedana da ballo con le loro sciure. Invece sparammo loro addosso uno tsunami cacofonico di suoni sovrapposti che fece tremare le dentiere e rovesciare più di un bicchiere di rosso.
Molti si portarono platealmente le mani alle orecchie, altri scapparono alla massima velocità concessa dalle giunture artritiche.
Suonammo l'intero nostro repertorio, che per fortuna dello sventurato uditorio copriva una ventina di minuti scarsi.
Terminata l'abominevole performance, ci presentammo dal volontario che ci aveva ingaggiato e che in quel momento stava cuocendo salsicce.
Qui successe l'impensabile: anziché rincarare la dose di umiliazione già rimediata sul palco, il tizio sfilò di tasca il portafogli e piazzò una centomila lire nelle mani incredule del nostro bassista.
Fu l'apoteosi. Urla, abbracci, scene di gaudio da vincitori della lotteria Italia.
Noi, la The No Smoking Band, guadagnavamo dei soldi grazie alla nostra arte.
Ventimila ricchissime lire a cranio. Qualcuno propose di incorniciarle sotto vetro, come Paperone con la Numero uno, così da poterle ricordare con nostalgia, una volta ricchi e famosi, come il primo guadagno di una ricca carriera. Io sputtanai subito la mia parte in sigarette e miscela per il Garelli, come si conviene ad una rockstar in erba.

Il fatto che uno dei componenti originali della band oggi sia qui a scrivere cazzate su un blog invece di calcare il palco degli MTV Awards la dice lunga sul destino della formazione.
Gli studi, il lavoro, le fidanzate e la vita in genere, spinsero il progetto verso un inesorabile declino. Il primo a mollare fu il tastierista S., seguito poi dal vocalist e leader M., ma a quel punto il gruppo si era ormai definitivamente sfaldato.

Oggi non rimane che qualche foto sbiadita e un pugno di "drum sticks" sbucciate a testimoniare il passaggio nel firmamento del Rock di una luminosa meteora chiamata "The No Smoking Band".