A questo punto credo di non aver più alcun pretesto per impedirmi di leggere "Gomorra" di Saviano.
Ho cercato in qualche modo di resistere alle incensature giornalistiche, ai sermoni dei critici, al clamore del pubblico. Arrivano direttamente da Cannes gli ultimi, decisivi attacchi alle mie residue resistenze. Due premi sciorinati tra i bagliori della croisette: non son cose che puoi fa finta di ignorare troppo a lungo.
Per questo devo leggere Gomorra, per questo dovrò farlo anteponendolo a letture già programmate e a me senz'altro più congeniali come genere e contenuti. Non mi resta altra scelta: devo leggere Gomorra prima che capiti, in un modo o nell'altro, di ritrovarmi davanti ad uno schermo a vedere il film che ne ne è stato tratto.
In fondo c'è una logica quasi banale dietro questa autoimposizione: Gomorra, si dice, è un film unico. Intelligente, maturo, scioccante senza cadere nella stucchevole documentaristica sociale. Non accusa e non consola. E' un film, si dice, di cui si sentiva il bisogno. Un bisogno che ormai è diventato anche mio.
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