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il culto della "pallastrada"
Di SuperCirio addì 15/03/2007 @ 23:05:15, in games, linkato 1321 volte)
il gioco
Negli anni della mia sbarbataggine era consuetudine scialacquare interi pomeriggi giocando a pallastrada in compagnia di altri incredibili creature dell'hinterland milanese. la pallastrada, come sa chiunque abbia mai approcciato le opere di Stefano Benni, altro non è che il gioco del pallone praticato però rigorosamente su asfalto. Il Cinaz, Clo, Peter, Campodine e il sottoscritto costituivano il nucleo fisso di giocatori, cui si affiancavano di volta in volta partecipanti estemporanei in numero variabile.

il campo da gioco
Il nostro campo si trovava in via delle Margherite, la strada dove abitavano praticamente tutti i pallastradisti fissi -me escluso. Le porte erano i cancelli di casa Cinaz e Campodine, che nella via si fronteggiavano seppur con uno sfasamento di vari metri. Questo conferiva alle geometrie del nostro campo, già parecchio variabili per i cazzi loro, una curiosa conformazione a losanga che consentiva di sfruttare una maggiore superficie di gioco. A complicare ulteriormente la definizione dei confini c'era poi la variabile delle auto parcheggiate. Tra queste, due costituivano ostacolo fisso: l'Insalatiera e l'Incrociatore, entrambe di proprietà della fam. Cinaz. La prima era una vecchia Ford Fiesta primo modello dall'improbabile colore verde cicoria, da cui appunto il nome di Insalatiera. Una volta stavamo giocando con un pallone molto scuro, praticamente nero, e ad un certo punto un tiro sbilenco lo piazzò tra cofano e parabrezza dell'insalatiera. Da quel giorno divenne Insalata con Olive.
L'altro ostacolo ai nostri dribbling era invece una mastodontica Ford Taunus color azzurro, pesante alcune tonnellate e così granitica da essersi meritata il soprannome di Incrociatore. Si narrava che nel corso di una scellerata manovra in retromarcia la sorella del Cinaz avesse raso al suolo un muro di cinta con relativa recinzione metallica sovrastante, senza che i paraurti di poppa riportassero il minimo graffio o intaccatura. Per quanto violente fossero le pallonate che colpivano le sue lamiere blindate, l'Incrociatore restituiva fiero sempre lo stesso cupo rimbombo di metallo corazzato.

i palloni I palloni avevano fogge, dimensioni e colori sempre differenti. Palloni da spiaggia, camere d'aria di ex palloni sventrati, leggerissimi Tango... ognuno aveva le proprie caratteristiche che lo rendevano unico e determinavano esiti diversi delle partite, a parità di giocatori e condizioni di gioco. Ad esempio la camera d'aria, con i suoi rimbalzi molli e imprevedibili, agevolava il gioco veloce di Campodine e Clo, mentre il vecchio pallone da basket semisgonfio era adatto alle "puntate" di potenza in cui eccellevamo io e Peter. Erano tutti palloni gagliardi e ben rodati, avvezzi alle ruvide asperità di via delle Margherite. L'unico rischio per loro era il giardino di terenzio, con i suoi enormi cespugli di rose carnivore che non lasciavano scampo; o la lucida follia di Emma-Emmaaa, la cui unica possibilità di riscatto da un'esistenza miserabile era sventrare a forbiciate i palloni che spiovevano nel suo giardino incolto.

le regole
Come tutto il resto, anche le regole del gioco erano variabili e soggette a libera interpretazione da parte dei giocatori. L'unica regola condivisa prevedeva che all'arrivo di un'auto il primo ad accorgersene gridasse "macchinaaaaa" mentre il più vicino alla palla la raccoglieva e, passata la vettura, approfittava del momentaneo disordine negli schieramenti per spararla direttamente verso la rete-cancello avversaria. Non esisteva ovviamente fallo laterale, neppure il fallo in senso stretto. Il fallo da dietro era considerato una raffinatissima tecnica da alta scuola. I contatti con l'asfalto erano in genere fatali, soprattutto per ginocchia e gomiti dove croste e cicatrici si sovrapponevano l'una sulle altre, partita dopo partita. Il più conciato era sempre Campodine, che si ostinava a cascare in area simulando il fallo nonostante il regolamento non prevedesse nè fallo nè calci di rigore, e tanto meno l'esistenza di un'area. Ogni giocatore aveva facoltà di abbandonare a cazzo la partita ogni qualvolta ne sentiva la necessità, e allo stesso modo rientrava quando più gli faceva comodo. Anche i partecipanti occasionali avevano la possibilità di unirsi al gioco in qualsiasi momento, schierandosi con la squadra che a sensazione garantiva loro le maggiori possibilità di vittoria. Anche per questo, a volte, si creavano situazioni di assoluto squilibrio numerico che trascendevano poi nel pandemonio del tutti-contro-tutti.
Non erano previsti tempi di gioco. La partita finiva quando ci si rompeva il cazzo di giocare, o finchè c'era luce. Nei mesi estivi gli incontri potevano svolgersi anche in notturna, avendo l'unica accortezza di mantenersi nel cono di luce dei lampioni (anche se una delle tattiche consisteva nel portare palla fino alle zone più buie e disorientare così i difensori avversari). Spesso le partite terminavano senza che fosse ben chiaro il vincitore.
L'unica vera certezza, nel gioco della pallastrada, è che ci si divertiva. E pure tanto, eccheccazzo.

pallastrada is dead...
Al giorno d'oggi i pallastradisti sono invece diventati una rarità. La fighetteria moderna impone che ogni partitella tra amici, anche la più spontanea e improvvisata, debba svolgersi nell'asetticità dei campi privati, magari in erba sintetica e completi di spogliatoi, docce e illuminazione. Questi comfort non si adattano al culto del pallastradismo, una religione fatta di dolore e polvere, odore di benzina e macchie d'olio bruciato, scarpe TEPA e acqua bevuta dal tubo in giardino...

Che volete saperne voi, giovani generazioni saccenti e viziate, degli infiniti misteri celati nell'asfalto?
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