Bruce Chatwin sosteneva che il nomadismo è una condizione innata dell'uomo, un retaggio primordiale legato alle origini della specie, quando spostarsi in continuazione era l'unica possibilità per sfuggire alle ostilità della natura, alla fame, agli inasprimenti climatici, alle bestie feroci.
Tracce di quel nomadismo istintuale, legatosi nel tempo con il desiderio di conoscenza connaturato alla nostra razza, è resistito a millenni di stanzialità e ancora si manifesta in alcuni tratti del nostro comportamento.
Chatwin però non ebbe mai occasione di osservare un fenomeno istintuale ancora più radicato nella natura umana, più arcaico e profondo perchè dettato dalla paura. E la paura, si sa, è la più antica di tutte le emozioni.
Allora chissà cosa direbbe di quella nomade che a Napoli ha scatenato il più ancestrale dei nostri incubi, ha reso concreta una paura che fa leva sugli impulsi animali di ciò che resta del nostro antico cervello da rettile:
il predatore che si introduce nella tana per mangiare i nostri cuccioli.
Spetterà agli inquirenti stabilire la verità sui fatti e chiarire se le accuse rivolte alla giovane rom corrispondono a verità, ma nel frattempo la paura ha già scatenato i suoi effetti: le molotov contro i campi nomadi di Napoli sono l'evoluzione delle clave con le quali i nostri antenati pelosi difendevano dalle bestie feroci sè stessi e i loro cuccioli.
E' una forma di imbarbarimento, è vero. Qualcuno ha detto che è un ritorno al medioevo, una regressione della razionalità.Ma il raziocinio è destinato a soccombere quando si vive nella paura.
E noi, di questi tempi, di paura ne abbiamo davvero tanta.