Di seguito tutti i deliri, in ordine cronologico...
L'altra sera al termine di Chelsea-Liverpool ho switchato la sintonia del mio presitorico Loewe sulle frequenza mediasettiane di Rete Four dove il vecchio Mike nazionale perpetuava la sua vocazione quizzettara nella trasmissione "Il Migliore".
Il telequiz del Mike mi piace, devo ammettere, è forse rimasto l'unico che riesco a vedere, perchè le varie eredità e chivuolesseremilionario e via discorrendo mi fan girare le bolas. Sembrerà un paradosso, ma i venerandi 80 anni e rotti del buon Mike sono rock, Scotti e il resto della ganga son lenti. E' proprio così: di tutti i telequiz attualmente in programmazione (o almeno nella programmazione Rai-Mediaset) "Il Migliore" è quello che trovo di maggior ritmo. Domande a raffica, viaviavia se la sai bene altrimenti passi, e sotto un'altra, alè.
Senza musichine ipnotiche né tempi laschi né concorrenti che si lanciano nei ragionamenti assurdi per arrivare alla risposta giusta, che tanto si vede chiaramento che non la sanno, ma se gli dai la possibilità di blaterare mezz'ora trovano una qualche logica balzana che giustifica il loro tirare a caso la risposta; così se ci azzeccano tutti a dire "epperò, ha fatto tutto il suo bel ragionamento e alla fine ci è arrivato", mentre se la cannano piena vabbè, però il ragionamento ci poteva stare.
Cagate. Come son cagate le telefonate a casa, e gli aiutini e il pubblico che dice la sua etc.
Le dinamiche dei giochi a quiz hanno funzionato bene per decenni grazie alla loro semplicità: ti faccio una domanda e tu mi dai una risposta entro il tempo fissato, o la sai o non la sai.
"Il Migliore" da quel punto di vista è ancora vecchio stile, il conducator domanda e l'aspirante campione risponde. Vince chi ne sa di più ed è lesto col pulsante.
Ma come sempre sto divagando.
La questione che mi ponevo era un'altra, legata ad un episodio specifico della puntata di ieri.
L'argomento scelto da uno dei concorrenti finalisti era La II Guerra Mondiale, e il Mike ad un certo punto ha sciorinato la domanda: "quale città tedesca è stata totalmente rasa al suolo dagli alleati nel 1945?"
"Norimberga!" ho risposto io, che mi diletto nel dare le risposte ancora prima del concorrente (e senza far troppo il ganassa devo dire che spesso ci azzecco pure).
"Norimberga!" ha risposto il concorrente.
"No, Dresda" ha sentenziato il Mike.
"aaahhh, Dresda" dice il concorrente fingendo contrarietà.
"Che cazzo di Dresda?" mi impunto io "pure Norimberga l'han fatta a tocchelli!" . Mia moglie mi guarda senza espressione.
Arriva il clou della faccenda: "pensate", prosegue il Mike, "che da bambino mi trovavo in un campo di concentramento vicino Dresda e vedevo passare gli stormi di bombardieri... uno spettacolo fantastico! Che bei tempi..."
Ora, io non so molto della vita di Mike Bongiorno, a parte il fatto che da mezzo secolo ci spacca le balle a mezzo video, però mi chiedo:
- perchè ha usato il sostantivo 'bambino' se all'epoca dei fatti citati aveva 21 anni (è nato nel 1924)?
- cosa c'è di 'fantastico' in uno stormo di bombardieri in missione? Potrà essere spettacolare, o impressionante, ma fantastico non mi sembra l'aggettivo più indicato.
- perchè ritiene 'bei tempi' un periodo storico universalmente riconosciuto come una tragedia per l'umanità?
Chi risponde correttamente accede alla finale.
E così papa Ratzinger avrebbe soppresso l'esistenza del limbo, quel luogo di millenaristica concezione teologale destinato ad accogliere tutte le anime che, pur buone e meritevoli di godere il divino fulgore, non avevano ricevuto regolare battesimo e pertanto non appartenevano ufficialmente alla grande famiglia di Sacra Romana Chiesa.
In questo esercito di ingiustamente esclusi la parte del leone la facevano gli infanti trapassati prima dell'iscrizione nelle liste ecclesiali, e pertanto non degni di accesso diretto all'eterna beatitudine del Regno celeste.
La faccenda in effetti era intricata assai, e i teologi medievali che concepirono questo non-luogo di semi-espiazione devono averci machiavellato su mica male.
La materia è complessa, però io son sempliciotto e in quanto tale semplifico. Quando un bimbo viene alla luce è coscienza pura e plasmabile, senza consapevolezza nè facoltà. I suoi genitori, cattolici più o meno osservanti, tramite un ministro di Dio in terra, appongono sulle tenere carni il sigillo di appartenenza all'esercito di Dio onnipotente. Per scelta meditata o -più spesso- per convenzione e tradizione. Da quel momento il piccolo rientra nelle schiere dei giudicabili, e la sua condotta nella futura esistenza determinerà il destino della sua anima nel percorso verso l'eternità. Se sarà un bravo cristiano godrà la beatitudine del Paradiso. Viceversa se vivrà nel peccato subirà in eterno le pene degli inferi. Infine se avrà solo qualche macchietta di colpa da emendare, e magari un buon avvocato, può essere che se la cavi con un pò di espiazione nel purgatorio (altro luogo mistico che, a mio avviso, dev'essere in assoluto quello più affollato).
Il problema si poneva quando il povero infante lasciava le pene materiali ancor prima di ricevere il sugello di appartenenza. Che fare in questo caso? Non si poteva certo incolpare direttamente lui di questa mancanza. Inoltre il suo spirito era candido, non corrotto dalle basse nefandezze della vita terrena: con quale pretesa di carità si negava alla sua anima l'eterna pace riservata ai puri?
C'era poi la faccenda dei pre-cristiani: dove stoccare le tante anime buone di coloro che erano vissuti e morti prima della venuta di Cristo? Quanti uomini d'animo nobile sono vissuti prima che Gesù giungesse sulla Terra per annunciare la Buona Novella? Vogliamo negare anche a queste moltitudini il Paradiso, solo perchè non ne conoscevano l'esistenza?
Ecco allora che il limbo divenne la soluzione. Una convenzione dogmatica in grado di appianare ogni pretesa di redenzione da parte delle anime non convenzionalmente riconosciute. Per secoli il limbo ha continuato ad accogliere anime richiedenti asilo.
Ora, grazie all'opera di una commissione voluta da un caposaldo della dottrina cattolica qual'è il nuovo papa tedesco, il concetto del limbo -inteso nella sua figurazione religiosa come una specie di zona franca riservata agli extra ecclesiam- è destinato a scomparire. Tutti in Paradiso e senza passare dal via, olè. Nella vita dopo la vita o si è buoni o si è cattivi. O Paradiso o Inferno (o Purgatorio, se si ha sgarrato di poco, e poi Paradiso comunque, gogogo). O di qui o di là, o sopra o sotto. senza se e senza ma.
E' il trionfo del bipolarismo in salsa mistica.
Qualcuno ha detto che la ricchezza di un uomo non è data da ciò che possiede, ma dal numero di amici veri che lo circondano...
Dichiaro ufficialmente bancarotta.
L'aumento delle temperature medie di questi giorni non ha mancato di palesare ancora una volta la stupidità innata dei miei concittadini.
Considerazione draconiana, ma basata sulla messa in relazione di due fenomeni concomitanti: l'arrivo del caldo e l'aumento del traffico nell'ora di punta. Da due settimane a questa parte il traffico mattutino che incontro andando al lavoro è cresciuto esponenzialmente di pari passo con la calura. Questo mi fa temere per i prossimi mesi (almeno fino alla pausa estiva) impennate vertiginose nei tempi medi di spostamento sul tragitto casa-lavoro-casa. Al momento siamo intorno all'ora e quaranta. Le stime per la fine di giugno prevedono punte di due ore, due ore e un quarto per un tragitto che in condizioni normali ha una media di percorrenza non superiore a 1 ora.
Ma in che modo l'arrivo del caldo influenza i volumi del traffico, e soprattutto che c'entra tutto questo con l'ottusità innata dell'italiano medio?
E' presto detto: al minimo accenno di afa nessuno vuole più muoversi sui mezzi pubblici. Tutti in auto, che "c'hanno su l'aria condizionata", anche coloro che hanno tragitti brevi da percorrere, o potrebbero muoversi in bici se non addirittura a piedi.
E invece tutti in auto, alè! E aria condizionata a manetta. In questo modo aumenta lo smog, cresce l'effetto serra e fa sempre più caldo, così sempre più persone usano l'auto e scaricano gas serra, e via dicendo. Senza contare i casini provocati dai gas degli impianti di condizionamento.
Io non ho alternative all'auto, e comunque non uso l'aria condizionata.
Certo, se i mezzi pubblici fossero più efficienti, puntuali, confortevoli e magari refrigerati, il fenomeno avrebbe dimensioni minori. Ma buttarsi in strada con l'auto per due gradi in più, quando se ne potrebbe fare a meno, è un atteggiamento da fessi. Se non volete sudare vestitevi leggeri, oppure andate a lavorare in una cella frigorifera, ma per favore non rompetemi i coglioni intasando le strade, eccheccazzo.
Dialogo tra il SuperCirio e un suo collega gobbo juventino all'indomani di Inter-Roma.
- "Cazzarola, certo che a voi interisti vi piace proprio soffrire, eh?!"
- "Mah, che ci vuoi fare..."
- "Mi sa che gli interisti in amore sono come quelli che amano patire, essere maltrattati..."
- "cazzo c'entra?"
- "Si, quelli che godono nel soffrire le pene d'amore, che amano macerarsi nel dolore se la fidanzata li molla, e cose così. Altrimenti non si spiega come uno possa amare una squadra come l'Inter."
- "Oh beh, se vogliamo giocare su queste analogie, allora a voi gobbi piace andare a mignotte."
- (perplesso) "A mignotte?!"
- "nel senso che comprate pure quello."
- "Ah già!" (ride) "Buona questa!"
- "Seee... ma vaffanculo va..."
Attraverso discutibili canali informativi mi giunge notizia che sua Santità Benedetto XVI è un gobbo1.
E pensare che nella mia infinita fiducia verso la bontà dell'animo umano vivevo nella convinzione che l'erede di Pietro, per vocazione e naturale impostazione, fosse per forza di cose una personalità retta da inscalfibile rigore morale. Qui non si discute dell'umana inclinazione di sua Santità verso una passione terrena com'è quella per il calcio, bensì la diabolica tentazione che lo ha portato a schierarsi con le armate dell'AntiCristo in chiave sportiva: la juventus.
Questo è il vero scandalo, altro che le affermazioni sui DICO di Mons. Bagnasco...
1 inteso come tifoso juventino e non persona con difetti di postura.
Qualcuno sostiene che nel tifo per l'Inter vi siano dei risvolti terapeutici.
Datemi retta: non è affatto così.
FORZA RAGAZZI
Oh grande Photoshop, lode e onore a te in secula seculorum...
L'ho saputo solo oggi: sabato scorso a New York è morto, all'età di 76 anni, Johnny Hart, disegnatore, fumettista e creatore negli anni sessanta di due "strisce" a fumetti che restano tra le più amate della mia gioventù: B.C. e il Mago di Wiz.
Per B.C. ho un affetto particolare, perchè lo ricordo abbinato ad un'altra delle mie passioni giovanili: la fantascienza; le sue strisce infatti erano in appendice ai volumi di Urania, dei quali sono stato per anni un accanito divoratore.
Poi le ritrovavo - insieme alle strisce del Mago Wiz- sulle pagine di Linus negli anni d'oro della rivista. Inoltre mia madre, altra grande appassionata delle strisce di Hart, possedeva varie raccolte che leggevo e rileggevo decine di volte, scoprendole ogni volta incredibilmente divertenti e attuali.
B.C. era ambientato nella preistoria, eppure riusciva con impareggiabile senso dell'attualità a prendere per il culo il mondo moderno, e la società USA in particolare.
Il Mago di Wiz, ambientato in epoca medievale, aveva personaggi con una tale caratterizzazione che potrei tranquillamente trasporne una buona metà -vizi difetti e virtù compresi- tra i colleghi e conoscenti con i quali mi trovo ad avere a che fare tutti i giorni.
Il re arrogante e complessato, il guerriero pavido e sbruffone, il boia col suo cinismo universale... i personaggi di Hart incarnavano le nevrosi, le paure e le miserie del nostro tempo spostandole su un diverso piano temporale e proprio in questo, a mio avviso, stavano le ragioni del loro successo.
Anche Schulz coi suoi Penauts descriveva con ironia spaccati d'America, ma nel suo caso era una comunità di bambini, opportunamente "adultizzata", a dare corpo e voce all'America negli anni post Vietnam.
Hart invece operava una traslazione temporale delle vicende che metteva in striscia, affrontando temi di attualità attraverso il filtro di una diversa e più divertente collocazione storica.
Le strips di Hart facevano parte, in quegli anni, di una categoria di fumetti che si definiva intellettuale. Era il periodo in cui uomini di cultura come Umberto Eco e Oreste del Buono esaltavano il ruolo del fumetto come forma d'arte, al pari o quasi di un'opera letteraria.
Oggi le cose stanno esattamente all'opposto. Basti pensare che nel panorama italiano la parte del leone è riservata ai vari Dylan Dog e Martin Mystere. Belli, certamente: albi di Dylan Dog ne ho letti, e con piacere, a decine. Ma l'ironia di B.C. e Wiz era tutta un'altra cosa.
I miei autori di fumetti preferiti erano (oltre ad Hart) Jacovitti, Bonvi e Max Bunker. Tranne quest'ultimo, tutti gli altri se ne sono andati. Anche se mi ritengo solo un appassionato di fumetti e non certo un esperto, credo lo stesso che non siano molti gli autori contemporanei in grado di prendere il loro posto.
Come previsto, Pasqua ha portato abbuffate gloriose e abusi alimentari oltre ogni limite. Perfino con il cioccolato sono riuscito ad esagerare, nonostante non sia mai stato un grande appassionato di cacao e derivati. Il massimo della maialata l'ho raggiunto sciogliendo in un poco di latte un intero uovo di cioccolato, usando poi la crema ottenuta per affogarci generose fette di colomba mandorlata Balocco.
Mi occorreranno ANNI per smaltire gli eccessi di tre soli giorni.
Colesterolo e dott.ssa Mele ringraziano.
Alle dieci di quel mattino di luglio 1983 il sole era già rovente sopra il campo nazionale degli scout a Nocera Umbra. Io e pubarelle camminavamo affiancati lungo una straducola intercomunale, sbuffando per il caldo e per il peso degli zaini. Dieci metri avanti, CapoBianco e Dragonero procedevano silenziosamente in fila indicana, strisciando le Tepa Sport nella polvere del bordo carreggiata.
Dragonero si fermò, si strappò dal capo il cappellone in feltro e cavò dal taschino della camicia il pacchetto di Marlboro.
"fuma, fuma" gli berciò Pubarelle mentre lo raggiungevamo, "vai, aggiungi un altro chiodo alla cassa!". Dragonero accese la sigaretta, mentre io allungavo una mano verso il suo pacchetto. "grazie" dissi sputando la polvere, prima di infilarmi il filtro tra le labbra. "Poi te la rendo, che ce le ho nello zaino".
CapoBianco si era fermato qualche metro più avanti a seguire la scena, appoggiato al guidone di squadriglia. Cercava di annullare il fiatone sbuffando nella calura. "Mi raccomando, fatevi beccare con quelle cazzo di sigarette, neh?" ansimò togliendosi il cappellone e scrutando la riga umida disegnata dal sudore sul feltrino interno. "Che poi è a me che fanno il culo...". Era il capo squadriglia - nominato da poco - e ci teneva a non fare troppe figure di merda. Un po' perchè la fresca investitura lo caricava, e quel raduno nazionale era una specie di battesimo sul campo; un po' perchè i capi reparto erano dirimpettai e amici di sua madre, e badava a non avere rogne con la sua vecchia; infine -e in buona parte- perchè tra tutti i membri di quella squadriglia disastrata, lui era senza dubbio il più serio e maturo. Negli anni a venire lo avrebbe più volte confermato.
"Cazzo dici, CapoBianco" replicò Dragonero, sbuffando una nuvola di fumo dalle narici "non c'è un'anima, siamo praticamente in culo al mondo, chi vuoi che ci becchi?". Pubarelle si accosciò contro il guardrail, tirò fuori il suo pacchetto di Philips Morris e si mise ad armeggiare con l'accendino. "In effetti mi sa che ci siamo persi" disse soffiando un anello di fumo "CapoBianco, ma mica dicevi che dovevamo trovare un cazzo di incrocio?"
"Io l'ho detto?!" replicò CapoBianco, pestando il guidone sull'asfalto squagliato "è 'sta cazzo di cartina che lo dice!"
"Fa vedere" gli dissi prendendo il pezzo di carta spiegazzato. Ripassai l'elenco delle località e dei punti di riferimento che avremmo dovuto incontrare. Cercai di stabilire qualche relazione tra gli elementi incontrati nell'ultima mezz'ora di cammino e quello scarabocchio che gli organizzatori ci avevano consegnato, definendolo pomposamente 'mappa', quella stessa mattina dopo l'adunata.
"Non si capisce un cazzo" conclusi restituendo a CapoBianco il foglio. "In effetti avremmo dovuto trovare un incrocio almeno due chilometri fa, e lì svoltare a destra".
"Ma un incrocio o un bivio?" chiese Pubarelle sfilandosi gli spallacci dello zaino. Con una flessione del dito medio scagliò il mozzicone in mezzo alla carreggiata.
"Cazzo fai, che bruci tutto!" sbraitò CapoBianco, premurandosi di uccidere il mozzicone con un preciso colpo di guidone.
"Se invece di un incrocio doveva essere un cavolo di bivio, allora l'abbiamo sì superato... almeno un quarto d'ora fa, però" proseguì Pubarelle. "Ma com'è disegnata 'sta mappa?" chiese sfilando il foglio dalle dita di CapoBianco. Scrutò per un attimo lo scarabocchio. "No, qui dice proprio un incrocio. E allora ci siamo persi di brutto". Pubarelle aprì lo zaino cavandone la borraccia e un fazzoletto semi pulito. "Adesso cazzo facciamo?" chiese asciugandosi le gocce di sudore dal collo.
CapoBianco puntò il guidone avanti, verso la curva in fondo alla strada: "Proseguiamo. Prima o poi qualcosa troviamo".
Mezz'ora dopo il sole era quasi a picco. Il caldo si era fatto soffocante e camminavamo in silenzio, tenendo a portata di mano la borraccia. L'acqua all'interno era caldiccia e sapeva di metallo. Cappelloni e camicie d'ordinanza penzolavano dai ganci degli zaini, mentre arrancavamo sbracati e incazzosi lungo la striscia di asfalto bruciato. Più che una squadriglia Scout in missione, sembravamo una di quelle combriccole di saccapelisti nordici in visita a Venezia. Incrociammo almeno tre o quattro macchine in transito, e ogni volta CapoBianco doveva lavorare di bestemmie, suppliche e minacce per impedire a Dragonero di sdraiarsi in mezzo alla carreggiata per bloccare il conducente e costringerlo a darci un passaggio.
Inoltre quella stradina dimenticata da dio era poco frequentata, e per lo più da traffico locale: gente arcigna e sospettosa che schiacciava sull'acceleratore non appena scorgeva il nostro trasandatissimo capannello.
La strada declinava dolcemente da circa un chilometro attraverso un bosco di querce e faggi quando all'improvviso, superata un'ampia curva a destra, apparve in lontananza la sagoma rossastra e sfocata dalla calura di un segnale di stop.
"Incrocio! Incrocio!" gridò Pubarelle, raschiando polvere dalla gola asciutta.
CapoBianco alzò il guidone sopra la testa, brandendolo come un'arma d'altri tempi. "Cosa vi avevo detto che prima o poi qualcosa si trovava? Chiaro che era la strada giusta! Sempre a dire cazzate, voi."
"ma va' a cagare!" replicai scollandomi dalla schiena la t-shirt fradicia di sudore. "Oltretutto non ci sarà mica un solo incrocio in 'sto posto di merda, no? Per quanto ne sappiamo potremmo essere a chilometri rispetto al punto previsto".
La nostra strada aveva diritto di precedenza rispetto a quella, più stretta e malmessa, che andava ad incrociare. Sull'altro lato, le strisce di asfalto delimitavano uno spiazzo erboso che si spingeva fino ai fianchi di una collinetta boscosa qulche decina di metri oltre. C'erano mucchietti di segatura e monconi di rami tagliati tutto intorno.
Con un solo movimento delle spalle Dragonero si scrollò di dosso lo zaino, lasciandolo stramazzare tra le erbacce sul lato della strada. Frega un cazzo" disse piazzandosi a gambe larghe in mezzo all'incrocio, a cavallo della riga di stop, "io adesso mi sbatto giù e frega un...."
"Corri!" gridò Pubarelle, da dietro un mucchio di ramaglie, frasche secche e tronchi segati, "corri qui di brutto! Che lippa! Corri!"
Dragonero fu il primo a raggiungerlo dietro il mucchio di frasche. "nooooo! bella storiaaaa" gridò, mentre io e CapoBianco giungevamo all'unisono sul punto della scoperta.
Appoggiata ad un mucchio di terra e rami secchi se ne stava, solitaria e invitante, una moto da cross di media cilindrata.
"Vai! Si ruba!" esordì Dragonero mettendosi ad armeggiare con il rubinetto della benzina.
Pubarelle, che in virtù di un fratello appassionato di trial era quello maggiormente qualificato per trafficare su quel genere di mezzo, puntò un piede sulla pedivella e con un balzo fu a cavalcioni del mezzo. "Questa non ha neanche bisogno di chiavi per partire" sentenziò, e con un colpo secco affondò sul pedale di accensione. Il mezzo emise un breve, cupo brontolio dalla marmitta, e subito tacque.
"Oh, cazzo fai?!" sbraitò apprensivo CapoBianco, mentre già roteava a trecentosessanta gradi le orbite oculari alla ricerca di pericolose presenze umane nei dintorni. "Non fare cagate, che poi ci beccano e ci fanno un culo così."
Ormai noi tre sottoposti eravamo nello stato di eccitazione sufficiente a far rimbalzare ogni protesta del capo. Dragonero controllava la presenza di miscela e io, poco avvezzo a trattar motocicli di quella taglia, tenevo in bilico il mezzo afferrandolo per la sella sgualcita, mentre Pubarelle pestava duro sulla pedivella. Dopo dieci minuti di tentativi inutili eravamo madidi di sudore e incazzatura. Mollammo il colpo, e tornammo a stravaccarci nell'erba alta dello spiazzo.
Esattamente un minuto e 20 secondi dopo, uno strano figuro coperto da pantaloncini da lavoro, canottiera bianca e cappellino calcato sugli occhi, sbucò da dietro i primi faggi della collinetta.
"Siamo periti" annunciò Dragonero con aria divertita, e con quel sorriso che gli si stampava regolarmente in faccia nelle situazioni ad alto tasso adrenalinico.
CapoBianco si prese male; "adesso diteglielo, che avete fatto i pirla!" sibilò sottovoce, preoccupato dalle possibili ripercussioni sulla sua carriera di capo squadriglia, e sui rapporti di vicinato coi capi reparto; "adesso sono cazzi vostri!".
Il figuro puntò nella nostra direzione. Aveva valutato l'eccessiva vicinanza del nostro gruppetto alla sua moto (sapevamo senza necessità di conferma che il mezzo era suo) e accelerava il passo con costanza, mentre il falcetto appeso alla cintura sbatacchiava lanciando riflessi poco allegri.
Il personaggio, un contadinotto sulla cinquantina dall'aria un pò rincretinita, era ormai a una decina di metri dalla nostra posizione quando il Pubarelle lo accolse con un "salve!" fintamente amichevole. Per tutta risposta il tipo indicò la moto con una manona e domandò qualcosa in un dialetto locale che, ovviamente, nessuno capì. Rimase un paio di secondi ad osservare la migliore faccia di palta che io e Dragonero eravamo maestri nell'impostare in simili situazioni, poi ripetè la domanda in modo quasi intellegibile: "toccato moto?".
"Moto?" chiesi io, girandomi verso il mezzo come se lo vedessi per la prima volta. Scuotemmo il capo guardandoci l'un l'altro con aria di costernata sorpresa.
Il tipo non sembrò affatto convinto. Si avvicinò alla moto biascicando qualcosa, poi si mise ad armeggiare intorno al rubinetto della benzina. Salì in sella e cominciò a spingere sulla leva dell'avviamento, una, due, tre volte. Neanche con lui il motore sembrava avere buone intenzioni. Il tipo lasciò partire un'imprecazione e alzò lo sguardo verso di noi, che nel frattempo ci eravamo alzati e puntavamo a recuperare ognuno il proprio zaino.
"'ngolfata" borbottò, condendo il tutto con una paio bestemmie. Mise la marcia in folle, smontò di sella e cominciò a spingere il mezzo tenendolo per il manubrio. Io e Pubarelle intuimmo subito le intenzioni e, quasi a sottindere una nostra ammissione di colpa nella faccenda, volevamo di emendarci offrendo un contributo alla spinta. Arrivati sull'asfalto iniziammo a spingere con maggior voga, e raggiunta la giusta velocità il tizio balzò il sella calciando con forza la leva della marce. Io e Pubarelle incassammo la prevista resistenza del motore aggiungendo spinta, mentre il motore gemeva cupo sputando benzina incombusta. Ci vollero altri due o tre tentativi di questo genere prima che il motore iniziasse a mostare segnali di corretta carburazione, finchè tra scoppi e nuvole di fumo oleoso riprese faticosamente a vivere. Il tizio tirò un paio di 'sgasate' pesanti e regolò per l'ultima volta il rubinetto della benzina mentre il motore bofonchiava finalmente con regolarità.
"Bueno" disse Pubarelle asciugandosi il sudore con il fazzolettone di reparto. Trottammo indietro verso l'incrocio, dove nel frattempo CapoBianco e Dragonero avevano già rimesso a contatto gli zaini con la schiena. Il tizio infilò la prima e con una sgasata era sulla linea di stop. "I scott?" ci chiese con una certa cordialità, fino a quel punto sconosciuta. "Scout si, boy scout" rispose capo CapoBianco.
"andate dove?" incalzò il villico.
CapoBianco sfilò la mappa dalla tasca posteriore dei jeans strappati e la spiegò sul serbatoio, indicando col dito il nome della località che avremmo dovuto raggiungere almeno due ore prima.
Il tizio scrutò perplesso il foglio per qualche secondo, poi parve rianimarsi di scatto: "andate lì??" chiese puntando un dito sporco nello stesso punto indicato da CapoBianco. Lo guardammo. "Lì?" ripetè lui guardando a turno le nostre teste che annuivano perplesse.
Il tizio scoprì una fila di denti gialli e irregolari in una parodia di sorriso, e inserì la prima con un colpetto dello scarpone. "Va là, scott!!" rise, e indicò la direzione da dove eravamo venuti, "dall'altra parte, parte opposta!" ribadì con aria divertita. Prese la mappa, e la ruotò orientandola secondo riferimenti a noi ignoti. Il punto di arrivo risultò deviato di centottanta gradi rispetto ai nostri calcoli. Restituì la mappa al sommo CapoBianco e diede due colpi di acceleratore mentre col tacco dello scarpone inseriva la prima.
"Va là, scott!" ripetè con il suo marcio sorriso, e mollò la frizione. Lo seguimmo con lo sguardo, in silenzio, mentre spariva oltre la curva in una nuvola di fumo biancastro.
(continua?)
Gli americani sono avanti, dobbiamo ammetterlo.
Ecco ad esempio come un professore statunitense ha brillantemente risolto il problema dell'invadenza dei telefonini in aula.
Ne prenda buona nota il nostro ministro Fioroni...
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